Giovani, la
preparazione spontanea.
Cosa non c’è più, cosa manca, cosa si può fare.
Osservando il mondo sportivo, con gli occhi di chi lavora con gli adulti, non posso non guardare indietro e cercare di comprendere come fare ad avere degli sportivi adulti migliori.
Che ci sia una notevole differenza, tra passato e presente,
nello sviluppo delle capacità “fisiche” dei ragazzi è certo. Prima di pensare
che non valga la pena lavorarci, cerchiamo di capire cosa abbiamo perso,
cosa non abbiamo più e come fare a colmare le lacune createsi.
Manca il gioco di strada, che detto così sembra poca cosa,
ma se ci si pensa bene, con il gioco, mancano:
la socializzazione, la competitività, lo sviluppo di capacità fisiche e
coordinative e l’uso dei sistemi energetici secondo ritmi biologici.
Non ho intenzione di dilungarmi sulla materia, darò solo
degli input, che se colti possono aiutare a cambiare le cose, o almeno, possono
spingere qualcuno a mettersi a studiare un modo per cambiarle.
Una cosa che non c’è
più: intensità e densità del gioco spontaneo.
Un bambino quando gioca segue le regole del gioco, ma non
segue nessuna codifica su tempi e recuperi.
Se lo si guarda bene, il bambino ha
due velocità:
o va al massimo o rimane fermo, la surplace non è prevista, quando
si stanca si siede, si riposa un poco, poi si rimette in gioco da solo, e così
via fino alla fine del gioco.
Questo modello naturale, è basato sui ritmi di maturazione biologica,
sulla mancanza del sistema lattacido e altri meccanismi energetici, che si svilupperanno nel tempo, dall’adolescenza in poi.
La mancanza di giochi spontanei all’aria aperta, porta allo
scarso sviluppo di questo modello energetico primitivo, con future pesanti
conseguenze, come: deficit muscolare, forza ed elasticità, infatti gli infortuni tra gli
adolescenti sportivi sono in aumento. Concorre pure alla scarsa capacità di gestione dai sistemi
energetici.
Ulteriore conseguenza, non diretta ma questa volta indotta, è spesso una precoce attivazione dei meccanismi che stimolano la
potenza aerobica e il sistema lattacido, questo per colpa di allenatori e
preparatori frettolosi, con conseguente scarso sviluppo di questi meccanismi, perché allenati in
modo massivo su organismi immaturi e bloccati prematuramente.
Una cosa che si può
fare: costruire un sistema di gioco/allenamento dove i bambini possano
sviluppare questa capacità e mantenerla fino a quando non abbiano raggiunto
l’adolescenza. Non dico di stravolgere il proprio metodo, solo di integrarlo
con un modo diverso di interpretare pause e ritmi.
La poca fatica in piùda fare per programmare
diversamente, non sarà più avvertita, quando i ragazzi, una volta cresciuti, vi
dimostreranno di che intensità e continuità d’azione sono capaci.
Una cosa che non c’è
più: i giochi da cortile. Cosa sviluppano?
Ricordo che il gioco
è parte fondamentale dell’evoluzione dell’individuo.
Grazie ai giochi si sviluppano: coordinazione, equilibrio, manualità, velocità, tempismo, socialità,
competitività, ecc.
I giochi un tempo erano: stagionali, diversificati e
ciclici.
È normale che un ragazzo, secondo le attività che pratica con
assiduità, abbia alcune aree del cervello sviluppatissime ed altre meno.
Quelle meno sviluppate, attualmente, sono proprio quelle che di cui
sentiamo la mancanza quando li alleniamo.
Una cosa che si può
fare: il cervello ha una sua plasticità, bisogna integrare la seduta di allenamento dei piccoli atleti, quando è
possibile, con esercitazioni che richiamino i meccanismi di quelle attività di
gioco, e creare una vera e propria ciclicità (metodo) della proposta.
Ad esempio, chi li ha praticati ricorderà che spesso ad alcuni
giochi erano abbinate filastrocche o canzoncine, non era casuale, era un modo naturale
per stimolare spontaneamente e contemporaneamente aree del cervello diverse .
Applicando concetti simili si possono fare lavorare aree del
cervello vicine, o magari più semplicemente abituare i soggetti a parlare e
ragionare durante l’azione…
Se si riesce a procedere con questo metodo per qualche anno,
quando da bambini passeranno ad essere adolescenti e poi adulti saranno più pronti a
sviluppare le attività proposte in modo naturale, senza infortuni e senza
disagi.
Sulla socializzazione il lavoro è più difficile, come lo è per la
competitività.
Per la prima, qualcosa si può inventare, per la seconda è più difficile, bisogna essere bravi e preparati per far diventare competitivi i ragazzi,
che sempre più spesso si nascondono dietro attività non competitive.
L’adolescenza è un’età di per se difficile, se facciamo
arrivare i ragazzi a questo periodo chiave con troppe carenze togliamo loro parecchie opportunità di sviluppo.
Cosa manca?
Manca l’approccio costruttivo alle cose, mancano la voglia di
progresso e la voglia di conoscenza. Gli allenamenti sono standardizzati, e a
detta di molti ragazzi noiosi. Allenare significa sviluppare la mente e il
corpo dell’allievo.
Cosa si può fare? Semplice: Scegliere di fare meglio possibile il
proprio lavoro, e fare tesoro del passato senza rimpiangerlo.